Disposofobia cosa significa
Nel DSM-V, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la disposofobia (HD) viene posta con criteri diagnostici propri e la diagnosi viene fatta se il comportamento da accumulo non è paragonabile ad altri disturbi mentali.
In effetti il suo significato, che è quello di un accaparramento patologico di oggetti, può esserci in altre patologie psichiatriche (Disturbo Ossessivo Compulsivo) o genetiche, per cui diventa fondamentale fare una diagnosi differenziale per poter collocare la malattia in un quadro il più possibile preciso per dare una terapia corretta e non dannosa.
Il termine di disposofobia deriva dall’inglese to dispose che significa buttare via e consiste nell’incapacità di disfarsi di oggetti che vengono raccolti e portati in casa, anche se di nessun valore ma per la persona diventano pieni di valori affettivi talmente importanti da non potersene più liberare.
Il disturbo da accumulo e la sua valutazione
In quali patologie:
Schizofrenia: sembra che questi pazienti possano avere dei comportamenti di accumulo dovuti a reazioni dall’assunzione di antipsicotici che aggravano questi comportamenti che sono anche sintomi tipici della schizofrenia, dove i deliri e le allucinazioni possono esprimersi anche con la necessità di accumulare, ma dagli ultimi studi sembra che non ci sia alcuna relazione tra disposofobia e schizofrenia.
Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC): in questo caso il disturbo da accumulo ha anche altri sintomi e rituali ossessivi tipici della patologia.
Per approfondire questo argomento, leggi il mio articolo su “Disturbo ossessivo compulsivo (DOC): Cos’è e come combatterlo“
Demenza e lesioni cerebrali: l’accumulo come rovistare nella spazzatura o nascondere cose, è comune ed è focalizzato sul cibo dove si nota il declino cognitivo della persona ( morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson, corea di Huntington), mentre in specifiche lesioni cerebrali da traumi c’è un anomalo disturbo da accumulo che è confuso e insensato.
Disturbi di matrice genetica: sono stati fatti studi su pazienti con disturbi dello spettro autistico (ASD) e Asperger dove sembra che sia piuttosto alta la frequenza di disturbo da accumulo ma la relazione tra queste patologie resta poco chiara necessitando di ulteriori approfondimenti.
Sindrome di Diogene: questo termine fu coniato da Clark et al.nel 1975 definendola anche dello “squallore senile” per descrivere pazienti anziani che presentavano scarsa igiene personale, auto abbandono, ritiro sociale e accumulo di spazzatura rifiutando qualsiasi aiuto.
Pensarono al filosofo greco di Sinope , Diogene che diceva che per vivere felici bisognava portare i bisogni della vita quotidiana al minimo e si diceva che lui vivesse in una botte in maniera ascetica anche se il suo stile di vita non era nell’accumulo e nemmeno nella solitudine poiché invece si recava all’agorà cercando il contatto con le persone.
La sindrome di Diogene colpisce donne e uomini e la ritroviamo in tutte le condizioni sociali e spesso sono persone che avevano una vita familiare, sociale e lavorativa di successo, per cui non è giusto pensare a questa sintomatologia solo come facente parte di casi di povertà o demenza senile.
Sono pazienti difficili da aiutare perché rifiutano di accettare come patologiche le loro condizioni e hanno una personalità aggressiva, testarda, molto sospettosa e instabile emotivamente e vivono soli e isolati contornandosi di rifiuti o oggetti inutile che conservano senza un ordine o una necessità precisa ed è proprio questo isolamento e la negazione dei bisogni che possono essere attivati da situazioni di stress ( lutti, perdita del lavoro o di uno status sociale, difficoltà economiche ecc.) alle quali la persona reagisce con questo comportamento.
Sindrome di Diogene: cura
C’è la possibilità di guarire dalla sindrome di Diogene?
Indubbiamente risulta sempre molto difficile intervenire perché uno dei segni clinici caratteristici della malattia è proprio il rifiuto di qualsiasi aiuto esterno perché il paziente non ammette il suo problema e non se ne vergogna e l’avvento del Covid ha sicuramente portato un’accelerazione della patologia.
Per approfondire questo argomento, leggi il mio articolo su “Coronavirus, paura e stress“
Infatti la pandemia ha generato un aumento della Sindrome di Diogene con i contatti umani che sono diminuiti e quindi la solitudine che è aumentata soprattutto durante il lockdown e le persone costrette a restare in casa hanno iniziato a curare meno l’igiene personale e a trascurare le relazioni sociali e tutto ciò incrementato anche dallo smart working.
Per approfondire questo argomento, leggi il mio articolo su “Paura della solitudine”
Effettivamente la solitudine è uno dei sintomi principali della sindrome di Diogene e prima dell’era Covid le persone erano costrette ad uscire di casa per lavorare o per altre incombenze che le mettevano in relazione con gli altri mentre con la pandemia hanno avuto molte ore da trascorrere chiusi in casa da soli e per alcune può essere stata un’occasione per rendere la casa più confortevole mentre per altri l’accumulare tutto quello che potevano era un modo che poteva servire a farli stare meglio.
Il trattamento della sindrome di Diogene è particolarmente complesso per la difficoltà a convincere queste persone a farsi aiutare e perché negano le loro condizioni. La cura prevede una buona terapia farmacologica e una psicologica e un’assistenza domiciliare che si occupi della loro pulizia e cura igienico-sanitaria diventando per loro persone di fiducia. Le ricadute purtroppo sono frequenti.
Il disturbo da accumulo e la Sindrome di Diogene anche se potrebbero avere dei punti in comune ed essere una la conseguenza dell’altra, mostrano anche delle differenze dove in un primo caso c’è un accumulo di oggetti, beni, animali in maniera enorme e fobica, nel secondo caso la persona conserva tutto anche senza valore come i rifiuti.
Disposofobia, cos’è
In effetti vediamo anche in certe nostre abitazioni una tendenza a non buttare via niente e spesso sentiamo dire: “devo disfarmi di queste cose per fare più spazio e perché non mi servono più” e, anche se a fatica lo facciamo, mentre chi soffre di disposofobia oltre ad avere una grossa difficoltà nella separazione di oggetti personali, li accumula in modo complesso anche se sono oggetti senza valore o persino pericolosi.
Ed ecco che le stanze della casa si riempiono talmente tanto che diventano invivibili e tutto serve solo per accumulare oggetti come i lavandini, i fornelli, il pavimento o piani di lavoro e arriva a non avere più spazio per sistemarli tutti.
Immaginiamo cosa può essere una vita passata così e lo possiamo capire vedendo la testimonianza di questo figlio che ci fa capire come ha vissuto e vive la vita dei suoi genitori.
Infatti inevitabilmente la roba conservata aumenta sempre più e non c’è nemmeno lo spazio per muoversi o per accedere alle normali attività della giornata come lavarsi, cucinare o dormire mettendo anche a rischio l’ambiente abitativo che potrebbe diventare pericoloso o malsano.
Tutto questo porta anche a una vita relazionale molto complicata o assente perché le persone con disturbo da accumulo (DA) rendono molto difficile l’aiuto che di solito rifiutano non riconoscendo che stanno male.
Questa patologia ora può essere riconosciuta perché “accumulatore seriale” è un termine entrato nel vocabolario comune anche attraverso trasmissioni televisive come “Sepolti in casa” un docu-reality che tratta di persone che accumulano ogni tipo di oggetti fino ad esserne sommersi.
Possiamo dire che in questo caso la televisione non produce sempre finzioni o situazioni impossibili ma può essere utile per dare visibilità e conoscenza a problemi meno noti alla maggior parte degli spettatori cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su disagi psicologici quasi sconosciuti e i problemi che comportano.
Dobbiamo anche sapere che la disposofobia non è ancora ben riconosciuta come patologia a sé stante o se è correlata ad altre patologie e non esiste una definizione ufficiale e, di conseguenza, anche le terapie diventano difficili da somministrare nella maniera giusta
Animal hoarding, accumulo di animali
Un caso particolare riguarda l’accumulo di animali che è spesso fatto da donne oltre i 40 anni, vedove, nubili o divorziate che si sentono investite dalla missione di salvare animali che, di solito sono gatti e cani ed è riconosciuta come patologia possessiva- compulsiva ed è un problema sociale e culturale dove l’accumulo porta a condizioni igienico-sanitarie difficili e pericolose sia per loro che per gli animali.
Consideriamo che stiamo parlando di numeri come 40 animali che possono arrivare anche a molti di più e queste persone sviluppano un attaccamento morboso e particolare perché si convincono di avere una missione speciale di salvare e proteggere questi animali.
Paradossalmente queste persone dimostrano un’apparente empatia verso gli animali che poi progressivamente vira verso maltrattamenti e vengono denunciati per reati di abbandono e maltrattamenti con una specie di violenza passiva dove c’è mancanza di cure veterinarie, condizioni non igieniche e vivono in spazi angusti dove perdono peso e si ammalano.
Tuttavia le persone che hanno questo disturbo non ammettono di non occuparsi dei loro animali e non vogliono darli via e spesso deve intervenire la Polizia Locale con veterinari pubblici e assistenti sociali per riportare l’igiene minima nelle abitazioni e per cercare di convincerli perché provano un senso di angoscia quando sono costretti a liberarsene.
Perché si diventa accumulatori
Possiamo anche partire dall’idea che nella nostra evoluzione, l’accumulo è un comportamento che proiettava una necessità che era quella di mettere da parte per tempi peggiori come atto di oculatezza e di prevenzione, ma il disturbo da accumulo porta le persone a comportamenti non funzionali o positivi come il non sprecare o il riciclare ma a conseguenze lesive e con legami per gli oggetti che diventano patologici.
Come mai succede tutto questo?
Alcuni studiosi pensano che le persone con disturbo da accumulo abbiano una difficoltà nell’elaborare le informazioni sugli oggetti da tenere o buttare e non hanno la capacità di organizzazione per selezionare questi oggetti, per cui spesso tutto si risolve solo nello spostamento da un punto ad un altro facendo nuove cataste.
La cosa strana è che sono così solo nelle loro abitazioni perché invece sul lavoro si comportano normalmente come ad esempio lo zio, di cui mi raccontava un mio paziente che lo aiutava nel suo negozio di droghiere dove organizzava e selezionava vari prodotti e sistemava varie fatture decidendo anche cosa tenere e cosa buttare.
Quindi è solo il rapporto con i loro oggetti personali che è particolare avendo il pensiero costante che “potrebbero servire un domani”, e attribuiscono a queste cose una specie di forte seduzione, di magia come se buttando via quell’oggetto se ne possa andare anche un pezzo della persona che lo possedeva.
E’ come se dovessero preservare il tempo, attraverso quell’oggetto, mantenendo integro un passato con un pezzo della vita di allora e con un legame affettivo molto forte come faceva l’artista Andy Warhol, con un vero e proprio disturbo da accumulo, che realizzò più di 600 Capsule del Tempo dove aveva deciso di metterci dentro di tutto dalle banconote ai giornali a pezzi di cibo.
Andy Warhol dopo un trasloco decise di mettere nelle scatole tutto quello che aveva in casa e non ha mai smesso di farlo tenendo anche una scatola vicino a lui per poterci buttare dentro tutto e farle diventare delle vere e proprie reliquie del tempo.
Questo per dimostrare che la mente dell’accumulatore seriale ha un’intelligenza peculiare perché vengono notati particolari che gli altri non vedono o riesce a fare racconti minuziosi sulla storia di ogni oggetto che ritrovano, con una grande memoria visiva, in mezzo a quella che per noi è solo caos e confusione.
Come curare il disturbo da accumulo
Come ho già scritto per la Sindrome di Diogene il paziente con disturbo da accumulo ha una consapevolezza molto bassa della sua patologia e rifiuta spesso l’aiuto anche perché gli accumulatori iniziano conservando cose che sono per tutti normali da tenere e anche per la presenza di familiari che hanno gli stessi comportamenti e li giustificano.
La terapia più usata, oltre i farmaci antidepressivi, è la terapia cognitivo comportamentale con interventi focalizzati per insegnare ai pazienti a sopportare il pensiero che quello che sta buttando via non è poi così importante per lui.
Bibliografia
C. Perdighe, F. Mancini, Il disturbo da accumulo 2015, Raffaello Cortina Editore
Randy O. Frost, Gail Steketee, E. Sanavio, Tengo tutto 2012, Edizioni Erickson
R. Pani, Non lo butto! 2014, Sovera Edizioni
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