Giocasta, Laio ed il rapporto tra padre e figlio
Quando si pensa al rapporto genitori-figli uno dei primi pensieri va al complesso di Edipo, ma spesso non si dà la dovuta importanza all’altra faccia della medaglia, che sono il complesso di Giocasta ed il complesso di Laio.
Se si parla del complesso di Edipo, si intende sempre quella fase dell’infanzia dove un bambino si sente attratto dalla propria madre e che inconsciamente o meno tutti abbiamo passato, anche se al femminile dovremmo per correttezza parlare di “complesso di Elettra“.
A volte capita anche che questa fase di crescita non maturi e per vari motivi non sia superata, ma per questo e altri approfondimenti in merito vi rimando al mio articolo sul complesso di Edipo.
Di contro a questo complesso edipico troviamo però, sempre all’interno della stessa storia del mito greco, anche un altro tipo di complesso molto importante e che hai giorni nostri ha ancora una ragione di essere analizzato, anzi.
Si tratta del complesso di Laio, cioè della sindrome del passaggio generazionale tra padre e figlio.
Prima di leggere l’articolo vi consiglio di guardare questo mio brevissimo video dove vi parlo del Complesso di Laio:
La storia di Edipo e Laio
Per far meglio luce su cosa sia il complesso di Laio è meglio riassumere brevemente la storia di questo mito greco:
Laio era il re di Tebe e un giorno si recò dall’oracolo di Delfi, il quale gli preannunciò la morte per mano di suo figlio, che a sua volta avrebbe sposato la madre.
A quel tempo Laio e la regina Giocasta non avevano ancora figli, ma quando nacque il loro primogenito Laio ripensò a quello che disse l’oracolo, e decise di sbarazzarsi del figlioletto appena nato.
Laio fece quindi appendere per i piedi il figlio ad un albero, sembra sulla cima di un monte per esporlo alle belve.
Edipo infatti significa “piedi gonfi”, dal greco “oidos”, cioè gonfiore, e “pous”, che significa piede.
la storia prosegue con un pastore che passando di li salva il bambino e lo porta in dono al re di Corinto, ancora senza discendenti.
Edipo crebbe così senza nulla sapere, finché un giorno il destino lo vede incrociarsi con il suo vero padre spada contro spada, e Edipo né uscì vincitore ma a sua volta sconfitto per aver ucciso quello che poi avrebbe saputo essere suo Padre.
Dopo l’uccisione di Laio, Edipo si diresse verso Tebe, dove incontrò Giocasta, sua madre, e la sposò, portando così a termine la profezia.
Il passaggio generazionale tra padre e figlio
Ma cosa aveva predetto l’oracolo di così tragico se non che il figlio avrebbe un giorno succeduto al padre?
Non è in pratica la storia naturale della nostra vita?
Laio non accetta di essere sorpassato dal figlio, arrivando addirittura a odiare e invidiare il proprio figlio, venendo così a mancare quello che è il ruolo più importante di un genitore: supportare i figli in tutto e per tutto per il raggiungimento della loro realizzazione in società.
Però, forse soprattutto nell’ultimo decennio, può capitare che un padre fatichi a lasciare le redini al figlio, che lo lasci libero, pensiamo ad esempio al problema del passaggio di un azienda da padre in figlio.
Quante aziende a gestione familiare ci sono in Italia e quanti ottantenni vediamo ancora a capo di alcune di queste grandi aziende?
Tutto questo perché molto spesso non vi è serenità nel rapporto tra padre e figlio.
Viviamo in un periodo, dove la crisi di valori della società moderna vede un padre che difficilmente si fa da parte, un padre che non vuole perdere i propri privilegi perché li considera come la rivendicazione del suo stesso esistere, come se senza di essi non vi fosse vita.
Le nuove idee, l’avanzare del tempo, e forse l’arrivo ineluttabile della morte, forse è proprio questo il punto: allontanare il più possibile il tempo del passaggio generazionale significa inconsciamente allontanare la vecchiaia, e con essa la morte.
Se torniamo ad analizzare la storia di Edipo ci accorgeremo che essa non fa altro che ricalcare uno schema classico dei miti greci, dove Zeus stesso uccise il padre Kronos per prenderne il posto, il quale a sua volte fece lo stesso con Urano.
Gli stessi Laio e Edipo, poi, fanno di tutto per cercare di evitare l’inevitabile, uno tenta di uccidere il figlio e l’altro si allontana il più possibile da quello che pensava essere suo padre.
Insomma, il passaggio generazionale tra padre e figlio è forse procrastinabile, ma alla fine l’ordine naturale delle cose prende sempre il sopravvento, sia che siamo genitori sia che siamo figli.
Questo perché anche da parte dei figli va accettato che questo passaggio significa anche portare avanti un certo tipo di educazione, un modo di vivere, tradizioni, bisogna conquistare la fiducia del padre senza pretendere che tutto sia dovuto.
Complesso di Laio, esiste una causa?
Come succede per molte patologie, paure, fobie come la claustrofobia e altri disturbi psicologici, quasi sempre le origini del problema sono da cercare e trovare nel passato, spesso nell’infanzia a volte dimenticata.
Non è raro infatti che episodi o traumi vissuti nell’età infantile si ripercuotano poi, come conflitti non risolti, nella vita dell’adulto che verrà, e come genitori ci ritroviamo a rivivere questi problemi scaricandoli inconsciamente sui nostri figli.
Tra le cause del complesso di Laio potremmo quindi individuare, tra le altre:
- Genitori iper critici e mai contenti
- Genitori troppo protettivi, che non danno spazio all’autonomia dei figli
Altre cause più o meno dirette potrebbero invece essere:
- Società narcisistica
- Il voler rimandare la morte
Il ruolo di padre
Quando nasciamo, soprattutto per il legame biologico che ci lega, instauriamo subito un attaccamento naturale verso la madre, la quale si sente già mamma fin dall’inizio della gravidanza.
Per il Padre invece deve avvenire un processo di cambiamento, di presa di coscienza durante l’intero arco della gravidanza, deve rendersi conto che diventerà responsabile non solo della vita di un bambino ma anche della sua educazione, della sua crescita, e di doverlo aiutare a trovare il suo posto nel mondo.
Fino a non tantissimi anni fa la figura del padre era sinonimo di autorità e severità, a volte troppo distante empaticamente, e quasi sempre fuori da quel che era la vita educativa di tutti i giorni, ruolo incarnato dalle mamme.
Al giorno d’oggi invece la società moderna vede sempre di più papà presenti, più vicini ai figli e nelle scelte educative, ma allo stesso tempo si corre il rischio di diventare papà-amici, con la possibilità di perdere di vista quel ruolo di “accompagnatore“, quello che secondo Freud deve essere la figura paterna.
Il papà rappresenta quella figura che per prima ci “allontana” dalla mamma, è la prima persona diversa dalla figura materna con cui si instaura una relazione, ed ha quindi il compito di introdurlo al mondo, superando il complesso edipico tipico dell’infanzia ed allo stesso tempo allontanando la figura di Laio e la sindrome del passaggio tra padre e figlio.
Concludo con le parole di un poeta tedesco vissuto nell’ottocento, Wilhelm Busch:
“Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile”.
Se come padri o figli avete difficoltà nel capire e risolvere i problemi che si possono creare nel rapporto tra padre e figlio, sarebbe importante affrontare il problema con una o più sedute presso uno psicoterapeuta.
La psicoterapia può aiutarvi nel risolvere conflitti interiori ed a instaurare un nuovo dialogo tra padre e figlio.
Padri e educazione dei figli
Ecco la tragica metafora nei miti greci: Cronos era un titano che evirò e spodestò il padre Urano, su richiesta della madre Gea, impedendole, anche di partorire i figli concepiti e poi, lui stesso ebbe le stesse angosce del padre e ingoiò tutti i figli fatti con Rea per paura che lo potesse spodestare dal trono.
Quindi ogni padre dovrà affrontare il complesso di Laio così come ogni figlio dovrà affrontare il complesso di Edipo e se subentrerà da parte del genitore una componente patologica onnipotente, verrà congelata la crescita del figlio e la sua affermazione nella vita.
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Le paure dei padri, perchè?
Cosa succede quando incombe la figura di Laio e i padri non si fanno da parte?
Infatti è logico che ogni padre inconsciamente si ritrovi nel confronto con il figlio maschio ad avere sentimenti ambivalenti dove da un lato c’è l’amore e la voglia di incoraggiarlo nella crescita, e dall’altro la sensazione di essere escluso nel rapporto madre-figlio e preoccupazione con l’idea di essere privato del suo potere.
La storia ci tramanda che nelle tribù primitive del passato il padre effettuava una vera castrazione dei suoi figli nel timore che lo uccidessero per prendere il suo posto di capo tribù che, con la civiltà si trasformò simbolicamente con la circoncisione sempre per attutire le angosce dei padri. Per approfondire questo argomento, leggi il mio articolo sul “Complesso di Edipo, sintomi e significato“
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Ed ecco che ai nostri giorni i padri non sono propensi a mettersi da parte rinunciando ai propri vantaggi e diritti per i figli, anche meritevoli di questo, ma c’è il timore di essere superati e spodestati dal ruolo di capo famiglia.
La nostra epoca è in piena crisi di valori dove i padri aspirano anche a non perdere il potere della giovinezza verso lo scorrere del tempo che li porta all’essere anziani e che non riescono a tollerare.
Questa angoscia, di essere spodestati dai figli, crea aggressività nei figli stessi, mentre riuscire a mettere da parte tali angosce potrebbe permettere ai padri di attuare un percorso diverso di crescita, emancipazione e amore, aiutando i figli nel loro percorso verso un’identità adulta.
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In effetti ritroviamo questa situazione anche nell’aspetto sociale dove le istituzioni come ospedali, scuole o luoghi dove si fa politica sono ancora popolati da generazioni che rifiutano di lasciare il passo a quelle successive restando ben ancorati alle loro “poltrone”.
Cosa resta del padre? Dov’è la sua funzione di guida?
Dobbiamo anche renderci conto che la crescita nasce da un conflitto che non può non esserci e che suppone di riconoscere che il figlio è altro da noi e che senza questo rispetto ci ritroviamo ad assistere a violenza come nelle piazze dove manca il dialogo e le ragioni dell’altro non vengono riconosciute.
Infatti il conflitto deve essere affrontato da parte dei genitori senza negarlo perché è una rielaborazione della violenza che non nega la parola ma affronta la necessità di comprensione e accettazione del discorso dell’altro senza paura.
Cosa succede se questo non accade?
Assistiamo ad un allontanamento tra due generazioni perché il dialogo si svuota di contenuti e di responsabilità, dove il genitore non è una guida che dona forza anche con le sue leggi che sanno dire di no alle pretese autodistruttive.
Indubbiamente noi genitori vorremmo figli perfetti che non sono reali perché i nostri figli incontrano delusioni e insuccessi e siamo sempre pronti a correggere ogni sbaglio comunicando che è più importante la prestazione della loro gratificazione e soddisfazione.
Come scrive Massimo Recalcati assistiamo oggi alla nostra crisi educativa dove i ruoli si invertono e i genitori vivono costantemente nella paura di non dare abbastanza per meritare l’amore dei figli diventando “amici” con un cameratismo collusivo e non rassicurandoli con regole, anche frustranti ma necessarie.
Non dobbiamo illuderci nella favola dell’”empatia” che nasconde quello che vogliamo noi e non quello che esprimono loro e dobbiamo renderci conto che è proprio il comportamento del figlio di cui non capiamo le ragioni, illogico e irrazionale che ce lo può far percepire diverso da noi e con questa diversità bisogna allearsi e discutere.
Mi ama o non mi ama?
Solo lasciando lo spazio ai figli noi genitori possiamo renderli liberi, senza i dubbi sul loro amore che ci porta, per paura di perderlo o di non averlo, a sottostare alle loro regole che dettano legge alla famiglia invertendo i ruoli e rovesciando quello che dice l’oracolo a Laio e cioè che il figlio lo ucciderà per avere posto nella vita.
Quindi come nella parabola del “figliol prodigo”, il padre che lascia il posto al figlio lo vedrà tornare come giusto erede del padre attraverso esperienze che farà nella libertà donatagli dal genitore, che non è ripercorrere i suoi stessi sentieri ma nuove competenze, abilità e maturità diventando un uomo nuovo e non lo specchio del padre.
Cosa ha fatto Laio?
Possiamo dire che Laio non ha ucciso il figlio ma lo rese inabile e menomato come succede oggi in certi atteggiamenti paterni per i quali:
- I figli, in modo particolare i maschi, non devono interferire con affari o attività paterne.
- Non devono immischiarsi o dare pareri anche se hanno un ruolo nel business familiare.
- Certi padri sono eternamente presenti sul collo dei figli con osservazioni dispregiative.
- Non vengono concessi mezzi per iniziare un’attività che il figlio chiede di promuovere, impedendogli di aprirsi una strada da solo.
Possiamo concludere che il Laio che c’è in certi padri è quello di non assumersi le responsabilità di riconoscere che il loro comportamento sta portando i figli ad essere più aggressivi, più infantili e con pochissima autostima.
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Bibliografia
M. Recalcati, 2022 Il segreto del figlio, Feltrinelli
M. Recalcati, 2014 Il complesso di Telemaco, Feltrinelli
A. Green, 1991 Il complesso di castrazione, Borla
T. Giani Gallino, 1977 Il complesso di Laio, Einaudi
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