L’autolesionismo, la voglia di sentire male fisico e farsi del male fisico da soli, ha spesso la sua radice nei maltrattamenti subiti nell’infanzia e ne soffrono 17 adolescenti su cento e 5 adulti su cento.
Fortunatamente la maggior parte di queste persone non mette più in atto autolesioni nel giro di qualche anno ma un quinto può sviluppare una forma cronica.
Sembra un paradosso l’idea di farsi del male per stare meglio, ma il dolore emotivo è così forte che la persona è indotta a trasferirlo su un dolore di natura fisica per lenire la sofferenza.
Credo che sia i genitori, ma anche gli insegnanti dovrebbero avere maggiori informazioni su questa patologia leggendo l’interessante libro di due psichiatri, Giovanni Migliarese e Claudio Mencacci: “Quando tutto cambia”.
Prima di continuare, ti consiglio di guardare questo breve video in cui parlo dell’autolesionismo:
Che cos’è l’autolesionismo e quanto è diffuso
L’autolesionismo è un comportamento deliberato che si manifesta a livello fisico con graffi o tagli sulle braccia, bruciature di sigarette su braccia, gambe o zone meno visibili utilizzando oggetti come lamette, cutter, vetro o coltelli.
Facendo questo la persona focalizza l’attenzione sul dolore fisico che è reale e più tollerabile dello stato emotivo e, infatti, l’autolesionista ha il coinvolgimento della sfera psicologica ma si manifesta con segni fisici.
Cerutti (nel 2011) e Whitlock (nel 2006) hanno analizzato la diffusione dell’autolesionismo in adolescenza dove coinvolge 41 adolescenti su 100 e insorge sugli 11-12 anni.
È un comportamento che provoca molta vergogna per cui i soggetti cercano di nascondere i segni che si fanno sul corpo per paura di non essere capiti e presi in giro e, a tutt’oggi, l’autolesionismo è un fenomeno molto sommerso e sottostimato.
Invece è più raro che si manifestino episodi in età infantile sia per i maschi che per le femmine, mentre, superata l’adolescenza, diminuiscono i soggetti di sesso femminile e aumentano i casi in quelli maschili.
Nell’autolesionismo i dati variano per diverse ragioni:
- Alcuni studi tengono conto degli strumenti con cui le persone si tagliano considerando l’autolesionismo non suicidario ma un attacco al corpo.
- Altri si basano su quello che succede nel tagliarsi, con un criterio temporale fatto sugli ultimi sei mesi e altri, invece, sugli ultimi dodici mesi.
- Secondo un recente studio, il 41% di adolescenti si è causato lesioni intenzionalmente almeno una volta nella vita e il 3,5% lo fa, invece, sistematicamente.
- Vi sono autori che inseriscono nell’autolesionismo anche coloro che si tormentano le pellicine o le unghie a sangue e, di conseguenza, le percentuali sono più alte.
- I comportamenti autolesionisti sono sia maschili che femminili, ma in percentuale la parte femminile supera quella maschile.
- In uno studio fatto in Italia, Stati Uniti e Olanda è stato evidenziato che non è un fenomeno legato alla cultura ma è un problema adolescenziale dagli 11 anni.
L’autolesionismo secondo il DSM-5
Il DSM-5 considera l’autolesionismo non suicidario come categoria a sé stante dando come criterio di diagnosi il fatto che la persona nell’ultimo anno si sia inflitta intenzionalmente dei danni sul corpo.
Infatti, in questo primo tipo, che il DSM-5 chiama “Non-Suicidal Self-Injury” (NSSI), vengono annoverati precisi disturbi psichiatrici e vengono suddivisi in tre categorie:
Autolesionismo maggiore
In questo tipo di condotta possiamo comprendere gesti molto gravi, comportamenti patologici, come la castrazione, l’enucleazione oculare o l’amputazione di un orecchio che troviamo raramente e in soggetti psicotici o intossicati da sostanze.
Autolesionismo stereotipico
Questi atti di autolesione sono caratterizzati da azioni ripetitive, come darsi pugni in testa, strapparsi i capelli o mordersi, e li troviamo in soggetti con ritardo mentale, autismo o sindrome di Tourette.
Autolesionismo superficiale o moderato
In questa categoria troviamo gesti autolesivi che comprendono forme di comportamenti quotidiani e possiamo suddividerli in:
- Condotte episodiche, come tagliarsi o bruciarsi.
- Condotte compulsive, come mangiarsi le unghie fino alla carne viva.
- Condotte ripetitive, come conficcarsi aghi o rompersi ossa.
Dobbiamo osservare, però, che questo autolesionismo, generalmente occasionale, può diventare ripetitivo e svilupparsi intorno all’intera personalità dell’individuo in modo stabile, iniziando dall’adolescenza e proseguendo per dieci o quindici anni.
In aggiunta a questo, possiamo anche annoverare un tipo di autolesionismo culturalmente accettato, come i ragazzi punk “Emo” (la parola vuol dire emozione) che, per affermare il loro inserimento in un gruppo e proclamare la loro identità, ricorrono all’autolesionismo.
Chi è l’autolesionista
Secondo gli studiosi del comportamento umano, l’autolesionismo è l’espressione di uno stress molto acuto e che sommerge emotivamente portando la persona a un’angoscia fortissima e intollerabile, con la messa in atto di condotte di auto-danno, autolesive fisiche.
Cause psicologiche dell’autolesionismo
Possiamo quindi dire che il termine autolesionismo è una classificazione diagnostica che ha all’interno comportamenti diversi tra loro che sono frutto di:
- Traumi emotivi legati a morte di persone care o aborti spontanei o perdita di un figlio.
- Problemi sociali legati all’ambito lavorativo, scolastico, relazionale o sessuale.
- Traumi fisici come atti di violenza e di abuso sessuale.
- Problemi psicologici quali depressione, mancanza di autostima o problemi di personalità fragile o instabile.
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Diagnosi dell’autolesionismo
Una diagnosi dell’autolesionismo richiede che gli atti autolesivi intenzionali a danno del proprio corpo si protraggano per almeno 5 giorni nell’ultimo anno.
Inoltre questo tipo di condotta deve essere preceduta da varie aspettative come:
- Procurare una sensazione positiva.
- Passare da uno stato negativo cognitivo a una percezione di conforto, di liberazione.
- Risolvere un problema relazionale.
Tutto questo deve comprendere anche determinati sintomi come:
- Che ci siano stati pensieri frequenti autolesionisti.
- La preoccupazione per il gesto è incontrollabile.
- Deve provocare grande disagio.
- Prima del gesto autolesivo convivevano sentimenti e pensieri negativi dovuti a difficoltà interpersonali.
L’autolesionismo nell’adolescenza
Al giorno d’oggi crescere e diventare adulti è più complesso rispetto ad anni fa e, senza contenitori stabili, l’autolesionismo nell’adolescenza rispecchia il profondo malessere e il disagio giovanile.
Per approfondire, leggi anche il mio articolo “Come dare Autostima ai figli“
In aggiunta a questo possiamo dire l’autolesionismo che diventa un’espressione visibile delle difficoltà giovanili ed è oggetto di giudizi e ripercussioni sociali fino al punto di compromettere la sfera relazionale e sociale dell’adolescente.
Forse questo dolore autoinflitto segnala e simbolizza qualcosa che è l’unica alternativa ad un malessere talmente grande che dà “scacco matto” alla mediazione della parola e l’autolesionismo in adolescenza spesso è associato a ansia, stress, problemi familiari, basso rendimento scolastico, isolamento sociale o depressione.
Infatti in Svezia gli studi portano a quasi un’epidemia visto che gli adolescenti di 14 anni che riferiscono di aver avuto almeno un episodio di autolesionismo variano tra il 36 e il 40%.
L’autolesionismo in età adulta
Sappiamo che l’autolesionismo è un fenomeno molto diffuso tra gli adolescenti (15-20%) e che qualche volta resta anche nell’età adulta, ma non sappiamo di preciso cosa possa condizionare il fatto di continuare con un comportamento autolesivo da adulti.
Vi sono dei ricercatori che hanno condotto uno studio longitudinale durato tre anni su 101 giovani adulti, dal quale è emerso che 50 di essi hanno smesso di avere comportamenti autolesionistici, mentre 51 hanno continuato.
In aggiunta a questo, l’autolesionismo è più elevato nelle persone con disturbi psichiatrici come: disturbo borderline di personalità, schizofrenia, disturbi dell’alimentazione, disturbi d’ansia o dell’umore o abuso di sostanze.
Per approfondire, leggi anche il mio articolo “Disturbi alimentari e le loro patologie“
Psicologia e autolesionismo: perché sentiamo il bisogno di farci del male
Non riusciamo a suggerire con esattezza le cause che portano una persona a sentire male procurandosi ferite fisiche perché all’origine dell’autolesionismo vi sono un insieme di varie cause che portano una persona ad avere questi tipi di comportamenti autolesivi. Vediamo i principali:
Farsi del male per sentirsi meglio
Perché tagliarsi? È una forma di comunicazione per esprimere il proprio disagio, la propria sofferenza attraverso autolesioni, ferite che diventano la dimostrazione visiva e reale dell’angoscia.
Farsi del male per auto-punirsi
Ed ecco la rappresentazione visiva di un senso di colpa, di autocritica che porta il soggetto all’autolesionismo come forma di auto-punizione.
Per approfondire, leggi anche il mio articolo “Senso di Colpa: cos’è e come sconfiggerlo con la terapia“
Farsi del male per ricercare attenzioni
Tagliarsi e farsi del male può derivare da uno stato di forte depressione per cui la persona si sente invisibile e l’autolesionismo è un modo di trovare sollievo dal male interiore e di attirare l’attenzione su di sé come per dire: ”guardami, esisto, sono presente, ho bisogno di te”.
Fattori di rischio
I fattori di rischio sono vari, sia sociali che individuali e le persone che possono maggiormente soffrire di autolesionismo sono, come abbiamo visto, i giovani, anche se può riguardare qualsiasi età. Sono maggiormente a rischio persone che presentano:
- Disturbi mentali psichiatrici.
- Abuso di sostanze.
- Rapporto negativo con il proprio corpo.
- Autostima molto bassa.
- Problemi scolastici.
- Difficoltà a gestire emozioni.
- Problemi in famiglia.
- Abusi sessuali.
- Bullismo.
- Situazioni stressanti e continue.
- Problemi con l’uso di social, videogiochi e televisione dove ci potrebbe essere assuefazione o incoraggiamento all’autolesionismo.
Ti consiglio anche la lettura dell’articolo “Come eliminare i pensieri negativi“
Autolesionismo e suicidio
Il suicidio non rientra nello scopo delle azioni dell’autolesionista ma, da indagini fatte, infierire sul proprio corpo può diventare un forte segno premonitore di futuri tentativi di togliersi la vita ed esiste un forte legame tra il primo e il secondo.
Infatti i comportamenti autolesionistici con il passare del tempo possono dare una specie di riduzione della sensibilità al dolore fisico con l’aumento della capacità di mettere in atto un suicidio.
Secondo uno studio inglese il rischio di suicidio negli adolescenti nel primo anno da un episodio di autolesionismo è oltre 30 volte superiore rispetto a quello dei coetanei.
Oltretutto questo rischio persiste per diversi anni, specialmente nei maschi tra i 16 e i 18 anni, quando ci sono episodi di autolesionismo ripetuti.
Si è visto infatti che le modalità del suicidio è diverso da quello per l’autolesionismo soprattutto nei maschi e inoltre, l’autolesionismo viene associato a un maggiore rischio di morte per avvelenamento accidentale.
Da tutto ciò possiamo osservare quanto sia fondamentale intervenire in maniera preventiva per diminuire l’autolesionismo negli adolescenti con una assistenza adeguata e opportuni follow-up.
L’autolesionismo nell’arte
C’è una canzone di Eminem, “Stan”, che dice: “a volte perfino mi taglio per vedere quanto sanguina/ è come adrenalina” e con i versi di questa e altre canzoni, possiamo capire che al giorno d’oggi l’autolesionismo è sempre più inserito e rappresentato nel quotidiano della vita.
Sicuramente dobbiamo anche riferirci alla Body Art (“arte del corpo” dall’inglese), per cui si intendono tutte quelle forme artistiche che utilizzano il corpo come mezzo d’espressione e/o come linguaggio. Le forme più comuni di body art sono il tatuaggio o il body piercing. Altre pratiche tipiche della body art comprendono la scarificazione, il Branding, gli impianti sottopelle, il body painting ed altre forme di modificazione corporea (Wikipedia).
Questa forma d’arte, cioè della “modificazione corporea”, è nata all’inizio degli anni sessanta negli Stati Uniti e in Europa con il tentativo di usare il corpo abusandone e usandolo per ogni tipo di violenza dove al posto dei colori e dei pennelli c’erano rasoi, coltelli, lamette e sangue.
Fakir Musafar, il guru del dolore e padre spirituale del piercing, tatuaggi e dolore fisico li mette in relazione con i riti primitivi e ha sperimentato su se stesso le deformazioni corporali per arrivare a stadi profondi del dolore fisico, per capire l’estasi mentale che ne poteva derivare.
Le mummie egizie per rappresentare lo status sociale nobile di appartenenza, avevano tatuaggi sul corpo. Nella Grecia e nella Roma dell’antichità, invece, i tatuaggi marchiavano il corpo degli schiavi come simbolo di appartenenza al padrone, o erano sul corpo dei carcerati per il tipo di reato commesso.
Tatuaggi e Piercing: autolesionismo, moda o arte
Considerando, quindi la Body art come una forma di espressione artistica legata al corpo, possiamo includere anche il piercing e il tatuaggio nell’autolesionismo, dove il piercing consiste nel perforare parti del corpo per inserire oggetti decorativi come orecchini, spille o gioielli.
I tatuaggi tribali sono una pratica molto antica che negli anni settanta si è sviluppata negli Stati Uniti, nelle comunità gay, come riconoscimento distintivo di appartenenza a un gruppo.
Ma perché le persone si tatuano e perché è diventato un fenomeno così esteso? Che significato hanno i tatuaggi?
Sappiamo che la pratica tattoo è antichissima e che al giorno d’oggi le persone disegnano la pelle in maniera indelebile non più come simboli tatuati credendo al magico come un tempo, ma secondo motivi più personali ed estetici, in particolare tra la fascia d’età tra i 17 e i 25 anni.
Infatti il bisogno psicologico del tatuaggio ha varie ragioni:
- Estetiche, per coprire un difetto o esaltare una parte del corpo.
- Simboli sessuali per seduzione.
- Affermare un rito di passaggio o l’appartenenza a un gruppo.
- Comunicare la propria identità.
In ogni caso esprimono la nostra personalità e il “marchio” del nostro essere facendoci distinguere dagli altri con tatuaggi tribali, tatuaggi colorati, tatuaggi particolari, tatuaggi che le donne preferiscono in zone come polsi e caviglie, mentre gli uomini il petto e le braccia.
Tuttavia, sia i disegni tattoo che i piercing possono essere segnali di disagio e malessere interno quando rappresentano patologie legate a comportamenti di autolesionismo.
Vi sono anche degli studi (Roberti, Storch & Bravata, 2004) che dicono che le donne che hanno subito dei traumi come l’abuso sessuale, hanno delle probabilità più alte di tatuare o forare il corpo in vari momenti, come se cercassero di riappropriarsene marchiandolo in maniera indelebile.
Oggi piercing e tatuaggi sono molto diffusi e può avere vari significati a secondo del tipo e del posto dove viene messo e ha un effetto importante sull’immagine che vogliamo comunicare. Infatti ci può essere un desiderio di essere visti per distinguerci dagli altri o per provocare e trasgredire o per seguire le varie tendenze del mondo sociale che viene frequentato o visto attraverso i social e gli influencer più seguiti.
In aggiunta a questo l’applicazione del piercing come del tatuaggio passa attraverso il dolore e può assumere il significato di autolesionismo, una specie di linguaggio visivo che incide, taglia, marchia la pelle e che fatto come pratica sessuale sadomaso, viene applicato ai genitali, capezzoli o altre zone erogene.
Curare l’autolesionismo con la psicoterapia
Il trattamento per curare l’autolesionismo è basato su una psicoterapia che dia importanza al cambiamento, intervenendo sulle emozioni positive che, attraverso l’alleanza terapeutica con il paziente, possa dargli strategie utili per ridurre gli effetti delle emozioni negative che portano a comportamenti autolesionistici.
Vediamo che nella psicoterapia comportamentale o nella Dialectical Behavioral Therapy (DBT) si cerca di ridurre i sintomi autolesivi con tecniche di problem solving per ridurre lo stress e cercare di aiutare il paziente a trovare delle competenze che lo aiutino a gestire le relazioni nel quotidiano.
Specialmente con gli adolescenti diventa importante rilevare la percezione che hanno della loro capacità di regolare le emozioni per, se necessario, poterle modificare se fungono da elemento scatenante per l’autolesionismo.
D’altra parte per sgominare l’autolesionismo bisogna ammettere di avere questo problema sia con sé stessi che con gli altri, cercando aiuto perché già il fatto di comprendere che non siamo soli e parlarne e condividere anche con chi lo ha già passato, diventa fondamentale per poter guarire.
Per approfondire, leggi anche il mio articolo “Psicologa e Psicoterapeuta a Padova“
Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.
Ganghi
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